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   2/1/06

Quella mattina veniva giù una pioggerellina sottile e gelata.

Da dentro il bar osservò l’uomo, capelli brizzolati corpo robusto, che andava avanti ed indietro sotto la pioggia sempre lungo lo stesso percorso.

Erano ormai diverse mattine che osservava quello strano movimento dell’uomo, le braccia appesantite da due grosse sacche di plastica.

Poi per diversi giorni non lo vide più.

Un giorno passando in una diversa zona del centro lo notò ancora.

Avanzava faticosamente claudicante e testardamente pestava con vigore su una caviglia che pareva infortunata da una storta.

Era un avanzare tenace e violento accompagnato ad ogni passo da una smorfia del viso.

Ed anche in quella zona diversa della città era sempre lo stesso percorso, avanti ed indietro, che l’uomo percorreva.

Lo perse di vista per qualche settimana.

Ripassò per quella zona e notò un cambiamento.

Il povero era ora seduto su una sedia posta al bordo del portico di fronte all’abitazione di un tale Girolamo che aveva a pochi passi da là un negozio di frutta e verdura.

Girolamo aveva anche lui qualche settimana prima notato l’incedere faticoso dell’uomo.Gli aveva chiesto se avesse bisogno di aiuto ma quello nemmeno gli rispose.

Continuava testardamente a pestare vigorosamente sulla caviglia infortunata il viso distorto ogni volta dalla smorfia di dolore.

Girolamo allora mise una sedia sul bordo del portico senza dire una parola.

Per alcuni giorni non accadde nulla se non il compulsivo e ritmico andare avanti ed indietro con una zoppia sempre più evidente.

Una mattina uscendo di casa il fruttivendolo notò l’uomo seduto sulla sedia.

Fece finta di nulla, rientrò in casa e portò fuori un bicchiere di carta pieno di caffè bollente.

Lo poggiò su un muretto davanti alla sedia sulla quale era seduto l’uomo.

Andò via verso la sua bottega senza guardarlo.

Al suo ritorno , qualche minuto dopo, il bicchiere era ancora al suo posto ma vuoto.

Girolamo ricordò allora dei rozzi versi che aveva letto, scritti da un ignoto writer,  su un muro semidiroccato alla periferia di Milano:

“Per quanto possa sembrare impossibile

la ricchezza più grande

è negli ultimi, nei diseredati, negli esclusi.

Ed è compito di una vita, di più vite,

riuscire a farla esprimere.

La difficoltà sta nel trovare un linguaggio

che consenta a quella ricchezza di esprimersi.”

Pareva ora a Girolamo di avere scritto di quel linguaggio una  prima sillaba.

Nei giorni successivi il rituale si ripetè.

L’uomo com’era ormai evidente lo aspettava seduto sulla sedia e ora allungava la mano verso Girolamo per prendere il bicchiere con il liquido caldo ma lo sguardo era sfuggente e la postura come quella di un lupo pronto alla fuga al primo accenno di allarme.

Qualche giorno dopo gli portò anche un panino che l’altro divorò in pochi bocconi.

Gli chiese allora come si chiamasse ma l’altro fece un cenno secco,  come di rifiuto, con il capo.

I giorni passavano ed il rito diveniva via via più complesso.

Girolamo portava fuori del cibo, del tè caldo e l’altro si rifocillava.

Dopo si alzava senza dire una parola e spariva tra i vicoli del centro.

Quei pochi minuti nei quali i due uomini intessevano quella trama silenziosa di solidarietà umana parevano a Girolamo la parte centrale della sua giornata.

La moglie lo osservava scuotendo la testa, un po’ strano Girolamo era sempre stato, i figli lo ignoravano impegnati com’erano a portare avanti la bottega del padre.

Osservare Girolamo che offriva il suo aiuto e l’altro silenzioso, spaventato e guardingo accettarlo era scena d’altri tempi, evento epocale, un atto della epopea della vita.

Successe un giorno, dopo molte settimane, che l’uomo, alzatosi come al solito dalla sedia per andare via, volgesse lo sguardo su Girolamo e gli dicesse una piccola frase, una sola piccola frase: Ciao, amico, mi chiamo Gesù. 

Chissà, forse voleva solo scherzare.

 

 

 

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