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Perché certi motivi musicali ci rimangono in testa

È un fenomeno noto da secoli che non è mai stato davvero spiegato, ma dice molto della nostra memoria e di come percepiamo la musica 

I motivi musicali orecchiabili che continuano a risuonare in testa per lungo tempo dopo l’ascolto sono un fenomeno cognitivo noto a molti e descritto da secoli, ma relativamente poco esplorato. Nella letteratura scientifica e nel linguaggio comune sono noti col termine inglese earworm – letteralmente «tarlo dell’orecchio», in Italia più spesso tradotto con «tormentone» – e sono una delle più comuni e condivise esperienze legate alla musica, oltre che un effetto volutamente ricercato nella composizione di ritornelli appiccicosi e di grande successo commerciale. Possono provenire da canzoni, temi musicali di un film o di un videogioco, oppure sigle di pubblicità o programmi televisivi.

Nel tempo sono state formulate diverse ipotesi per cercare di spiegare le cause, la funzione e i processi intellettivi e psichici legati all’esperienza degli earworm. I progressi nello sviluppo degli strumenti e dei metodi di studio del cervello hanno permesso di riconoscere in questo fenomeno – che in alcuni casi può diventare esasperante e patologico – attività cerebrali che sono alla base del normale funzionamento della nostra memoria musicale. Funzionamento che è molto diverso da quello, più conosciuto e studiato, della memoria visiva.

La parola inglese «earworm» è un calco della parola tedesca «ohrwurm», utilizzata nel 1979 dallo psichiatra tedesco Cornelius Eckert per descrivere una canzone molto orecchiabile, che metaforicamente entra in testa e non ne esce più. Ohrwurm in tedesco è infatti il nome della forbicina (forficula auricularia), l’insetto che secondo una falsa credenza popolare strisciava attraverso le orecchie delle persone cercando un posto in cui depositare le uova.

In ambito accademico sono stati proposti altri nomi che pongono l’attenzione su aspetti particolari dello stesso fenomeno. Una delle espressioni più diffuse è «immagini musicali involontarie» (Involuntary Musical Imagery, INMI), utilizzata per descrivere l’improvvisa esperienza cognitiva di brevi motivi musicali noti – di solito una decina di secondi – che risuonano in testa in assenza di uno sforzo cosciente e di stimoli sonori esterni.

In uno studio del 2008, lo scienziato cognitivo finlandese Lassi Liikkanen scoprì che oltre il 90 per cento delle persone riferisce di provare almeno una volta a settimana l’esperienza di non riuscire a togliersi dalla testa un motivo musicale. In successive ricerche di Liikkanen, lo stesso fenomeno ma con motivetti di maggior durata e più spesso strumentali fu riferito da persone con esperienza musicale, che suonano strumenti e sanno leggere la musica.

Secondo uno studio del 2015 condotto dalla psicomusicologa statunitense Freya Bailes, le immagini musicali involontarie sono più frequenti nei momenti in cui è necessario riempire il tempo, come quando si è in fila per esempio, e quando si è soli.

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