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I ricci , la sera tardi quando è buio , escono dai campi dove hanno le loro tane e vengono a mangiare il cibo nella vaschetta dei gatti.

Sembra che lo gradiscano molto e se ne nutrono abbondantemente.

Hanno uno strano comportamento.

Quando vengono illuminati dalla torcia si girano verso il muro e stanno lì fermi con la testa contro il muro.

Parrebbero “pensare” che se loro non vedono me nemmeno io posso vedere loro.

Questo comportamento rivela di una coscienza molto primitiva nella quale essa percepisce la realtà come se la vedesse in uno specchio.

E nel momento in cui non si guarda più lo specchio lo specchio (apparentemente) scompare, cessa di esistere.

Quasi fosse lo sguardo, il guardare , ciò che dà esistenza alla realtà.

E al contrario non guardarla nega a quella realtà esistenza.

La cosa richiama il pensiero magico di certi popoli primitivi , dei bambini o di certe coscienze rimaste in una fase di sviluppo molto infantile.

La coscienza dissociata parrebbe avere lo stesso “comportamento” della coscienza, così primitiva, della coscienza del riccio.

La coscienza dissociata parrebbe credere che ignorando , rimuovendole, le esperienze negative vissute  queste esperienze, e ciò che esse hanno significato, cessano di esistere.

Ovviamente non è così ma le pervicaci resistenze della coscienza ad accettare (a “guardare”) quelle esperienze e quei significati farebbe pensare che sia proprio questa la motivazione che spinge quel comportamento.

Quello dei ricci peraltro è un comportamento analogo a quello degli struzzi i quali anche loro nascondono la testa sotto la sabbia nella “magica” convinzione  che ciò fa sparire il pericolo.

Noi sappiamo invece che solo accettando , solo ”guardando in faccia”, quelle esperienze e quei significati se ne disattiva l’effetto pernicioso che esse hanno nei comportamenti e nella vita dell’individuo.

 

 

 

 

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