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La funzione egotica gestisce l’ego.

Uno può affermare con forza “cogito ergo sum” ed ancora non ha capito nulla nè di sé né degli altri.

Tutti pensano, tutti o quasi hanno capacità di pensiero,  ma ben pochi capiscono perché vivano in quel modo piuttosto che in un altro , perché si comportino in quel modo piuttosto che in un altro  o perché pensino certe cose e non altre.

Il pensiero razionale , il cogito cartesiano, è rispetto a quello scopo assolutamente  inutile .

La psiche malata (coscienza e parte dell’inconscio insieme) determinano l’individuo.

Se la patologia è particolarmente severa è la sua funzione egotica , il suo ego, ad esserne intaccato.

Ad esserne intaccata sarà perciò la sua capacità di volizione, la sua capacità di scelta , la propria capacità di autodeterminarsi senza essere preda delle sua infinite coazioni a ripetere, dei suoi svariati sintomi ,ecc..

Ad esserne intaccata sarà il suo senso di identità e la sua capacità di rendersi conto di quanto la propria patologia mentale determini la propria esistenza e quella degli altri senza che egli se ne accorga e senza che egli possa farci nulla.

Talora un barlume di consapevolezza affiora alla sua coscienza, barlume  indotto dalla pressione, che può essere terribile, dei suoi sintomi  mentali e somatici ed allora l’individuo recupera una parte della sua capacità volitiva e va dallo psicoanalista.

Ed anche qui le sue resistenze , i suoi blocchi, le sue paure , la sua periclinante capacità di volizione e di determinazione talora gli impediscono di portare avanti quella che è una lotta senza quartiere e senza esclusioni di colpi contro quella malattia che è lui ed è in lui.

E che egli stesso , pur terribilmente soffrendone, difende inconsapevolmente con le unghie e con i denti.

Se l’ego, la funzione egotica, non è stata gravemente intaccata da quella patologia mentale egli allora potrà coltivare solide speranze di, da quella patologia mentale,  potere venirne fuori.

Con una grande dose industriale di pazienza e di determinazione.

La ferita iniziale inferta alla coscienza nel corso dell’imprinting infantile e l’effetto di  pochi “colpi” rapidi e feroci nei primi giorni e mesi della vita del bambino/a.

La terapia per curare quella ferita è lunga e talora dolorosa .

Ci si chiede se i genitori prima di avviarsi alla procreazione  non farebbero bene ad accertare la loro condizione psichica profonda e ad accettare , in quei casi in cui quella condizione psichica fosse particolarmente severa  , il consiglio di evitare, per il bene dei loro futuri figli,  di procrearne.

Per evitare che su questi figli quella loro tragedia psichica venisse inevitabilmente riversata condannandoli ad una più che probabile ben grama esistenza.

In questi casi il vero gesto di amore profondo e di grande altruismo verso  questi figli non avuti sarebbe  proprio  il non averli procreati.

 

 

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