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La narrazione di Stefano D’Arrigo, nel suo romanzo Horcynus Orca, ad un certo punto s’intriga in un mistero che a sua volta molto intriga i pellisquadra,  i pescatori dello Stretto.

Le fere,  animali che arrecano danni alle reti dei pescatori , che divorano il loro pescato e che pare irridano alla loro fatica , quando raggiungono i trent’anni d’età ( le fere trentenarie) misteriosamente scompaiono dalle acque dello Stretto.

Abbiamo poco tempo fa dato a questi animali simbolici del romanzo (il quale di personaggi simbolici è densissimo) chiamati fere in quanto feroci, ferini e che   infestano nel romanzo le acque dello Stretto una interpretazione.

Essi rappresenterebbero nella coscienza dell’individuo inconscio e dissociato da sé dei sostituti protesici dei contenuti istintuali dell’inconscio e del Sé, mai integrati in quella coscienza e da essa  segregati e respinti nell’inconscio stesso.

Definibili perciò come protesi , artifizi protesici, che del Sé negato fanno patetica e patologica vece: Le cosiddette protesi del falso sé.

E tornando al mistero che intriga a quel punto la narrazione di DArrigo: Che fine fanno le fere trentenarie ?.

Ad un certo punto del romanzo il  protagonista ‘Ndria fa un sogno metà ad occhi chiusi e metà ad occhi aperti.

Egli sogna di seguire nel mare le fere trentenarie mentre si recano nel loro luogo segreto per ivi morire.

Le segue sopra e sotto il mare fin dentro il cratere di Vulcano (isola e vulcano insieme) scoprendo che le fere trentenarie, come in un processo di purificazione, si buttano nel cratere ribollente di lava e da qui vengono “sputate” fuori scarnificate, purificate e ridotte al solo scheletro imbiancato.

E tutti gli scheletri , questo cimitero di scheletri è disposto lungo l’interno della cavità del cratere seguendo volte e giravolte lungo una spirale.

Cosa viene rappresentato in questo processo di trasformazione delle fere trentenarie ?

E’ possibile che questo racconto simbolico di una trasformazione intenda rappresentare il fatto che nell’individuo, passata l’infanzia e l’adolescenza durante le quali quelle  protesi del falso sé per necessità di sopravvivenza e di adattamento si sono strutturate nella coscienza, ad un certo punto della vita, nella fase di passaggio dell’essere (i trent’anni appunto) dalla giovinezza all'età adulta  avvenga un mutamento:  Le tante protesi del falso sè che infestano la coscienza dell'individuo verso quell'età  sprofondano nell’inconscio ivi radicandosi e perpetuando così, grazie alla energizzazione che quelle radici produrranno ,  la condizione patologica della coscienza.

Cronicizzandola.

Il romanzo di D’Arrigo è , grazie alla densità del suo linguaggio, una fonte inesauribili di ispirazione considerata la grande quantità di personaggi e figure simboliche che si intrecciano con la narrazione.

E’ possibile che se qualche psicoanalista di madre lingua inglese di buona consapevolezza e con altrettanto buona capacità di interpretare i linguaggi simbolici studiasse con interesse la densità simbolica sia dell’Ulisse di James Joyce nonchè del suo intraducibile Finnegans Wake troverebbe una gran quantità di spunti utili ed interessanti per capire di più relativamente a quei linguaggi e, il che non guasta , per capire di più dell’animo  di Joyce.

 

 

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