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Girava un tempo tra i paesi ed i villaggi delle Prealpi Venete un racconto popolare , un racconto dell’orrore , una sorta di mito locale, che veniva raccontato ai bambini per spaventarli.

Riuscendovi in pieno.

Esattamente come molte favole famose,del Nord dell’Europa,  efficaci supporto e sostegno ai colpi già inferti alle coscienze infantili dall’ambito familiare.

Diceva il racconto:

“Tra le montagne ,in un casolare isolato, viveva una famiglia con due maschietti.

Uno dei quali era morto da poco prematuramente.

Un giorno il padre, tornando prima dal lavoro,  sente il secondo bambino in casa implorare la madre: Per favore mamma mettine dentro solo uno oggi, per favore! Solo uno ti prego..

Entra in casa e vede la moglie la quale sta cercando di introdurre nella narice del figlio  una “forbice”, una scolopendra che comunemente viene chiamata con quel nome.

Il padre prende una sedia , colpisce la donna e la uccide.

Riesumato il cadavere del primo bambino e fatta l’autopsia si svelano dentro il suo  cervello alcuni di quegli orribili animaletti, ovviamente morti”.

Il racconto è chiaramente irrealistico, un vero e proprio mito, il quale descrive simbolicamente l’azione castrante inconscia che la figura materna, la sua coscienza,  dissociata ed essa stessa afflitta da un complesso di castrazione,  sviluppa, inconsapevolmente e coattivamente,   nei confronti del figlio maschio.

Racconto/mito sufficientemente terrificante  e sufficientemente esplicativo.

Da qualche parte esisterà probabilmente un qualche altro racconto/mito simile che parla invece dell’inconsapevole azione castrante esercitata dalla  coscienza paterna, di condizioni simili a quella di prima,  nei confronti della coscienza della figlia femmina.

 


 

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