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Un tempo c’erano dei giocattoli di latta con una molla dentro.

 Il bambino girava più volte una chiavetta , caricava la molla ed il pupazzetto di colpo cominciava a muoversi.

Il complesso di castrazione (per quanto orridi siano i suoi effetti nefasti) è come un pupazzetto a molla .

L’ego inconsapevolmente esegue volontariamente (almeno in apparenza) una azione,  magari piacevole (ma in realtà coatta) , la quale carica energeticamente la “molla del pupazzetto” il quale , una volta caricato scatta automaticamente ed infligge le sue ferite (il sintomo , il disturbo, il malfunzionamento , ecc.) .

Un meccanismo automatico di incredibile semplicità ove si consideri quanto esso possa devastare la vita di un essere umano.

L’azione esterna è indispensabile all’attivazione del meccanismo.

Facciamo un esempio:

Il bambino ha diversi tratti di caratterialità ed esperisce continuamente comportamenti irritanti, fastidiosi, provocatori, ecc..

Ti fa venire voglia di dargli un scapaccione per farlo fermare. Si suole dire nel linguaggio comune che “ti strappa le sberle dalle mani”.

In realtà la piccola coscienza dissociata e castrante del povero  bambino inducendo  quei comportamenti irritanti e provocatori sta solo invocando una azione repressiva.

Una ulteriore azione repressiva. Una ennesima azione repressiva.

Allo scopo di rinforzare e fornire un refresh all’originaria azione castrante, vissuta durante l’imprinting , in modo da cronicizzare il meccanismo da quella azione originata rendendolo così permanente

L’azione castrante originaria introiettata dalla coscienza non è quindi (per fortuna) permanente in sé.

Essa , come il pupazzetto a molla , deve essere ogni volta  “caricata” in modo da potere scattare e compiere ogni volta il suo tristo compito.

E ciò  fino a quando l’intero meccanismo non sia completamente introiettato dalla coscienza ed allora a far scattare il meccanismo automatico sarà una qualche azione coatta (apparentemente volontaria) dell’ego.

Ma se il “pupazzetto a molla” nella testa del bambino deve essere ogni volta “caricato” ciò vuol dire che quel bambino ha una speranza .

Esposto ad un ambiente umano che comprenda il dramma in formazione nella sua coscienza questo ambiente da una parte potrà agire   non “caricando il pupazzetto”,   malgrado i comportamenti irritanti e provocatori del bambino (che è com’è ovvio vittima innocente del suo imprinting infantile) e dall’altra parte offrendogli amore e tolleranza e  comunicando verso quella coscienza con un linguaggio profondamente diverso da quello che ha strutturato quel complesso di castrazione.

L’ambiente parentale infantile che ha costruito (e non poteva fare diversamente essendone esso stesso vittima) quel disastro umano è in grado di fornire quella “medicina” ?.

Evidentemente no .

 

 

 

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